Trovarsi al cospetto di una Ariel Atom genera emozioni forti e contrastanti, un misto tra lo stupore, l’ammirazione e lo sconcerto. Ricordo benissimo il nostro primo incontro al paesino di Nuerburg, in Germania. Ero a cena al Pisten Klaus con i soliti amici pazzoidi quando, uscito per una sigaretta, ho iniziato a passeggiare nel parcheggio per gustarmi la sfilata di supercar presenti. In un angolo buio di un vialetto scorgo un musetto appuntito; incredulo, mi avvicino e le giro intorno. Sembrava una Formula Renault e invece era ancora più estrema, nuda, senza carene e senza volante; l’unico vero antifurto per una vettura di questo tipo. Sarà stato anche per le birre tracannate, ma l’emozione fu fortissima. Il giorno dopo ero di nuovo nel paddock del Ring a girarle intorno, a studiarla nei minimi dettagli ancora scettico. Sono passati molti anni, eppure quando arriva a Vallelunga l’emozione è la stessa; anzi, questa volta che la guido è ancora più forte. Bassa, corta, essenziale come e più di una vettura da corsa. L’Ariel Atom è pura follia, emozione al cubo anche da ferma!
Com’è fatta – Essenziale fino all’eccesso, la Atom ha tutte le cose giuste al posto giusto. Protagonista indiscusso è il telaio esoscheletrico (progetto di laurea di un giovane ingegnere inglese) che svolge il ruolo funzionale portante ma anche, visto che manca tutto il resto, quello di design. La sua linea è inconfondibile e decisamente piacevole. Lunga solo 3,4 m, larga quasi 1 metro e ottanta e con un passo di soli 2,345 metri, la Ariel è un vero scricciolo. Parlare di interni per una Atom è quasi un ossimoro, ma c’è tutto ciò che serve. La panchetta biposto è in materiale composito regolabile nella distanza dai comandi, le cinture sono a quattro punti. Il volante è di tipo a sgancio rapido e dotato di led interni che avvisano quando è ora di mettere la marcia successiva. Il cruscotto è semplice e compatto, ma chiaro e immediato. La pedaliera è fissa, ma con le tarature registrabili per la risposta dei pedali. Optional fondamentale per la guida in pista è il ripartitore di frenata. Il superfluo ovviamente non abita qui!
Tecnica: Urla che ti passo – Tutto a vista! Il telaio è tubolare in acciaio sul quale sono montate sospensioni a triangoli sovrapposti con uno schema push-road, ammortizzatori, molle ed helper Bilstein/Eibach. L’assetto, neanche a dirlo, è ultra regolabile, così come tutti gli angoli fondamentali: camber, convergenza e incidenza. L’indemoniato che urla alle spalle del pilota è l’Honda K20Z4, il mitico 2.0 4 cilindri i-VTEC, posizionato trasversalmente sul posteriore, sovralimentato con compressore volumetrico e capace di 300 CV nonché di girare fino a 8.500 g/m. Lo scarico è formato da un collettore in acciaio inox 4-2-1, un catalizzatore e un silenziatore in acciaio. Il cambio a 6 marce ravvicinato ha un rapporto finale da circa 240 km/h. Non c’è servofreno, servosterzo, ABS, traction control, parabrezza e carrozzeria, praticamente è “full optional”… per la pista! I freni sono a disco su tutte e 4 le ruote con pinze Alcon. Il peso totale rilevato sulle nostre bilance è stato di 600 kg con il pieno di carburante, circa 40 litri.
Il resto dell’elettrizzante test a bordo della Ariel Atom è su Elaborare 180.